mercoledì 15 febbraio 2012

Francesco Di Giacomo (Banco): intervista

Due parole con Francesco Di Giacomo, voce storica del Banco, a pochi giorni dal tour del quarantennale in compagnia de Le Orme.
Perché tanti giovani ai vostri concerti? Mi stupisco anche io, poi se ci ragiono un attimo, dopo aver chiesto proprio a loro se quella che cercano di fare non sia un’operazione archeologica, mi piace usare le loro parole: il Banco mi racconta l’oggi anche con le canzoni di ieri. Questo un po’ mi preoccupa perché vuol dire che la storia va avanti lentamente. Il nostro modo di proporre le composizioni e i brani – per parole e musica - è molto riconoscibile, come dire “alla Banco” e questa è una cosa alla quale teniamo particolarmente e che ci fa molto piacere. Alcuni di loro, in modo carbonaro, sono quasi dispiaciuti se qualcun altro scopre il Banco, se lo tengono - come si faceva una volta - sotto cenere come i collezionisti di cose rare. Preferisco però stare all’aperto e sentire l’aria in faccia anziché essere oggetto di culto in quel senso.

Quanto è importante a livello umano - viste le vicende personali che vi hanno attraversato negli ultimi anni – tornare sul palco a suonare la musica del Banco? Se vivi il palco con un po’ di senso critico, nel senso che non è la ripetizione di te stesso tutte le volte che ci Sali, non a caso noi pur facendo concerti con materiale che ha quarantanni, eppure reagice sotto le mani e sul pubblico come se fosse attuale, anche perché noi per non subire quello che abitualmente è il tuo brano ne cambiamo le strutture cercando di attualizzarlo. Riuscire a non essere la cover di te stesso è una grossa sfida.

Salirete sul palco con Le Orme. È una cosa che andrà amplita un po’ di più, perché non basta suonare i pezzi a vicenda, pensiamo di fare dei nuovi arrangiamenti ognuno sui brani dell’altro, cercare una via espressiva più complessa. La musica è fatta di un materile talmente “possiible” che se metti dieci note insieme puoi suonarle per tutta la vita, l’importante è come le rigiri.

In un altro paese un gruppo come il vostro godrebbe di ben altra notorietà e considerazione. Sei dello stesso avviso? Sarei un ipocrita a dirti di no, però nella vita pensi semopre che qualche riconoscimento in più sarebbe sicuramente stato apprezzato. Posso dire che di renderti conto di andare a suonare di fronte a un pubblico, come successo di recente, che aderisce in massa, alla fine il riconoscimento è quello. Ci avevavo proposto di fare una cosa televisiva che va per la maggiore e abbiamo detto di no, chiaramente sempre con qualche titubanza, ma alla fine crediamo che il responso sia nel nostro pubblico. La gente che vedi dal palco è l’energia, la propulsione per mantenerti su quel palco.

Se dovessi lasciare ai posteri un testamento musicale del Banco, quale brano sceglieresti? (ride, ndr). Non saprei, ma più che ai posteri lascerei un brano a me stesso. Un brano che mi dà sempre molto è “Canto nomade”, anche se lo abbiamo suonato poco.

Dopo diversi anni di silenzio in che stato di salute hai trovato la tua voce? Mi dicono bene, sinceramente. Mi dicono che ho dei capelli in meno, ma la voce sembra meglio di prima. Ma questo non è un merito, è una questione di fortuna, perché io non faccio niente per curarla, non sono il tipo che fa i sulfumigi del Novecento o i gargarismi con le code di lucertola.

Una tua frase celebre di qualche tempo fa era “la musica sceglietevela sempre”. Io non sono uno che naviga, e devo dire purtroppo, e non per fortuna, ho un pessimo rapporto informatico. Nel mare di internet la scelta individuale non dipenda mai da quanto hai di fronte per scegliere, ma da cosa tu hai deciso di sceglire.

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